Giovanni Mantovani, ingegnere trasportista, ex consulente del Comune di Firenze per il sistema tranviario e responsabile del procedimento di realizzazione della tratta SMN-Scandicci della linea T1, ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande sul sistema tramviario fiorentino.
Verdi Firenze: Entrambe le linee tramviarie attualmente in funzione sono un successo dal punto di vista del numero di utenti. Il rovescio della medaglia è però che i convogli sono sovraffollati nelle ore di punta, soprattutto per quanto riguarda la linea T1 da Scandicci verso la stazione SMN. Quali possono essere secondo lei le soluzioni a questa situazione?
Giovanni Mantovani: Mi consta che il sovraffollamento sia stato determinato, almeno in parte, dal successo del parcheggio di scambio di Villa Costanza e che questa causa verrà attenuata grazie all’utilizzo del parcheggio di scambio alla fermata Guidoni della T2 (che peraltro non ha ancora una grande capacità) in modo di principio analogo a quello di Villa Costanza. È comunque opportuno essere preparati a possibili incrementi di domanda della T1 (anche per effetto dell’ipotizzato prolungamento oltre Villa Costanza o dell’apporto di nuovo carico in arrivo a Porta al Prato con la T4).
Le soluzioni, ovvie, sono due: aumentare la frequenza o la capacità dei tram.
La prima soluzione pone problemi di interferenza tra T1 e T2 nella tratta comune (oggi in via Alamanni e piazza Stazione, con una fermata; in futuro fino a viale Strozzi, con tre fermate in tutto); sono però problemi risolvibili, fino a un certo punto, mediante la regolazione centralizzata. Non so se sia necessaria anche una revisione del rapporto economico tra Comune ed Esercente.
La seconda soluzione, certamente non di immediata attuazione, è fisicamente possibile, poiché le banchine di fermata sono lunghe 45 metri e possono quindi accogliere tram più lunghi di quelli attuali. Ricordo che in varie città europee è stato necessario e possibile, grazie alla struttura modulare, allungare tram già in esercizio mediante moduli aggiuntivi.
VF: L’attuale rete tramviaria ha una struttura radiale, con tutte le linee che convergono verso la stazione, con un sovraccarico del nodo di SMN, rimangono tuttora difficili i collegamenti di trasporto pubblico tra alcune zone senza dover obbligatoriamente passare dal centro. Esistono modifiche possibili che potrebbero migliorare il funzionamento della rete? Come vedrebbe la possibilità che alcuni tram bypassassero il centro percorrendo una direttrice viale Strozzi – viale Belfiore fino a Porta al Prato?
GM: Il nodo di SMN è un forte attrattore, anche perché è al bordo del centro storico, e quindi è necessario servirlo direttamente da più direttrici con linee forti. L’attuale struttura radiale, concentrata nel settore NW, avrà una favorevole evoluzione con la realizzazione delle tratte per Bagno a Ripoli e poi per Rovezzano. Purtroppo, pare che non si potrà realizzare un servizio diametrale e sarà necessario cambiare tram a Piazza Libertà, per evitare un’eccessiva sovrapposizione di linee su alcune tratte, ma ritengo che questo aspetto sia un aspetto da approfondire.
Un by-pass Viale Strozzi – Viale Fratelli Rosselli era presente nei progetti originali e ne resta traccia negli scambi, dismessi, all’angolo tra Viale Fratelli Rosselli e via Jacopo da Diacceto. Fu abbandonato in assenza di un valido modello di esercizio e su comprensibili pressioni di Scandicci, che voleva assicurato il collegamento diretto con gli accessi alla stazione SMN e al bordo del centro di Firenze. Potrebbe essere ripreso in considerazione, se venisse giustificato dalla definizione di un modello di esercizio che tenga conto rigorosamente dell’entità e della distribuzione della domanda, nonché della necessità di servire adeguatamente i principali attrattori.
Un’ipotesi di collegamento tranviario ancora più esterno è quello della linea T5 (utilizzante un nuovo tracciato ad andamento tangenziale tra Piazza Dalmazia e Via Foggini), prevista dal Piano strutturale. Anche il ruolo di questa linea andrebbe a mio parere riesaminato in un quadro generale del sistema tranviario.
VF: Questione tram e centro storico. Gli attuali progetti non prevedono più il passaggio del tram dal tracciato SMN-Cerretani-Martelli-Cavour-San Marco: quali sono le conseguenze di questa scelta secondo lei? Per quali motivi nel corso degli anni erano state accantonate anche le alternative di attraversamento del centro (sotterraneo o di superficie) da ovest a est?
GM: Ritengo che le conseguenze siano senz’altro negative, per due ragioni: si è perso il servizio diretto del centro e si è perso un secondo collegamento transitante per i due poli.
Devo dire ancora una volta che non c’è alcuna ragione trasportistica né urbanistica per la cancellazione voluta dalla nuova Amministrazione nel 2009. Anzi, la preservazione del carattere del centro, proteggendolo da involuzioni dovute al turismo e ad iniziative economicamente elitarie, richiede che sia ben servito dal trasporto pubblico. Il secondo collegamento avrebbe anche permesso, sulla tratta SMN – Libertà, di distribuire vantaggiosamente le linee su due itinerari. La ragione è stata meramente politica e, a mio avviso, non nella migliore accezione di questo termine.
Tra Piazza Stazione e Piazza Beccaria ci sono 2 km in linea d’aria e un tale spazio non può essere certamente coperto solo a piedi o con i bussini, tra l’altro con elevatissimo costo specifico di esercizio e con il disagio del cambio. Tra l’altro il tracciato definito nel 2002 non passa per il Duomo, come comunemente si dice, ma passa in Piazza San Giovanni, abbastanza lontano dal Battistero grazie a una breve tratta a binario semplice, per poi svoltare subito, prima del Duomo, in via Martelli. Attorno al Duomo passava un precedente tracciato, abbandonato avendo considerato gravi le difficoltà di inserimento nel tessuto viario.
E la pedonalizzazione non è ragione sufficiente: in Europa abbiamo molti esempi di valida e sicura convivenza tra tram e pedoni in strade interdette alla circolazione di altri veicoli.
Riguardo al sottoattraversamento del centro, penso che vi siano molte ragioni contrarie. Anzitutto il tessuto di edifici storici, senza un ampio corridoio libero, e le caratteristiche del sottosuolo obbligherebbero a un tracciato molto profondo, con fermate di complessa realizzazione e tali da dare tempi lunghi di accesso alle banchine dalla superficie. Inoltre, si tratterebbe di una realizzazione il cui costo non sarebbe giustificato dal limite di capacità imposto in superficie alla linea tranviaria (almeno per questo aspetto, diverso sarebbe stato pensare a una tratta sotterranea comune sulla quale convergessero, ai due lati, più bracci di superficie). Va anche considerato che ai capi della galleria vanno due rampe in trincea, squarci non facili da inserire in strade ai margini del centro, e che quindi la tratta sotterranea dovrebbe essere molto lunga.
VF: Spesso i contrari al passaggio in piazza Duomo hanno sottolineato che il Sirio è un tram di dimensioni notevoli. Il passaggio nel centro storico potrebbe essere reso meno impattante utilizzando convogli più corti?
GM: Il Sirio di Firenze è lungo 32 metri ed oggi le lunghezze tipiche dei tram sono tra i 30 e i 40 metri, necessarie sia a fini di sostenibilità economica, grazie alla riduzione del costo specifico per passeggero trasportato, sia di riduzione, a parità di capacità della linea, della frequenza dei passaggi. Infatti, una frequenza spinta non favorisce la regolarità e genera un impatto ambientale maggiore. Un tram da 35 metri che passa ogni 4 minuti dà meno fastidio visuale e minore riduzione della permeabilità trasversale, che un autobus da 18 metri che passa ogni 2 minuti. Quindi, l’uso di tram da 20-25 metri sarebbe possibile, ma darebbe luogo alle contropartite cui ho accennato.
VF: L’attuale progetto definitivo della linea 3.2 prevede un capolinea in viale Don Minzoni, non direttamente collegato al braccio proveniente da viale Lavagnini che ferma in Piazza della Libertà: come fare ad evitare questa rottura di carico per i passeggeri che provengono da Firenze sud diretti a SMN ma anche verso Careggi o l’aeroporto? [NDR Dalle nuove planimetrie di progetto presentate prima dell’uscita dell’intervista pare che il capolinea sia stato spostato da Viale Don Minzoni a Piazza della Libertà, più vicino ma comunque non coincidente con la fermata della Linea 2]
GM: È un problema cui ho accennato rispondendo alla seconda domanda. Posto che la T2 vada a Piazza San Marco, se non si accetta la sovrapposizione di tre linee sulla tratta Valfonda – Strozzi – Lavagnini, governandone al meglio le conseguenze, la soluzione sta solo nel ripristino del secondo collegamento Stazione – Libertà, attraverso il centro.
VF: Alcuni comitati cittadini hanno mostrato perplessità sulla realizzazione del un nuovo ponte che collegherà via Minghetti all’Albereta. È un’infrastruttura necessaria? Noi abbiamo sempre sostenuto il tram anche perché si basa su una logica semplice ed efficace: togliere spazio alle macchine creando un’alternativa all’uso dell’auto privata, costruire un altro ponte a quattro corsie non va contro questa logica?
GM: Non so dare una risposta netta, perché non ho dati. Osservo solo che in genere la creazione di un buon nuovo sistema di trasporto pubblico riduce il traffico automobilistico del 15-20% (la T1 è uno dei casi particolarmente fortunati). Poiché la sede esclusiva per il tram è fondamentale, basterebbe una coppia di corsie uniche per l’80% del traffico attuale?
VF: La linea 3.2 verso Firenze sud avrà il capolinea a Bagno a Ripoli. Cosa pensa della richiesta di prolungare la linea verso l’ospedale di Ponte a Niccheri?
GM: Anche per questa domanda non ho elementi per dare una risposta fondata. Mi pare che sarebbe necessario un prolungamento di circa 2 km. Occorre uno studio di prefattibilità, che analizzi il modo di realizzare il prolungamento e, stimata la domanda assegnabile, valuti se i costi di realizzazione ed esercizio possono essere giustificati (tenendo ovviamente conto anche dei possibili benefici sociali).
VF: Il sistema tramviario dovrebbe essere sempre più integrato con gli altri mezzi del trasporto pubblico locale: con i bus urbani ed extraurbani, ma anche con la rete ferroviaria presente sul territorio. Cosa manca a Firenze per poter implementare un vero Servizio Ferroviario Metropolitano a servizio della città e dei comuni circostanti?
GM: Manca un’offerta appropriata, basata su un cadenzamento adeguato, quindi su un’infrastruttura in grado di accettare piccoli intervalli tra i treni, sull’apertura di nuove fermate e sull’uso di materiale rotabile adatto ai servizi metropolitani. Mi pare che si stia in uno stato di attesa, legato ai tempi di liberazione dei binari di cintura per effetto della realizzazione della galleria dell’AV.
Non sarebbe male, nel frattempo, fare un rigoroso studio della domanda assegnabile a una rete SFM ottimale, integrata con tranvie e autolinee, per calibrare bene sia gli interventi sugli impianti sia i programmi di esercizio. Un aspetto importante è quello della differenziazione tra servizi metropolitani e servizi regionali, che pongono esigenze diverse, dei quali non è però facile una netta separazione.
È anche importante ridurre le duplicazioni tra autolinee, suburbane e extraurbane, e servizi ferroviari e puntare, dove non ci sono serie controindicazioni, ad autoservizi di adduzione alla ferrovia, a pettine.
Una strada sostenibile, trasparente e partecipata per tutelare il Franchi e il Campo di Marte.
L’area di Campo di Marte, con i suoi 37 ettari dedicati allo sport, è una delle aree sportive intra-urbane più grandi d’Europa. In questa cittadella sportiva l’Artemio Franchi è l’elemento principale per capacità, oltre 40mila spettatori, e fruizione. Lo stadio è dunque un elemento chiave della cittadella, del Quartiere 2, in cui è inserita, e di tutta l’area metropolitana fiorentina.
Da tempo come Federazione dei Verdi siamo impegnati per la valorizzazione di questo elemento urbanistico, che è stato messo in discussione da progetti, a nostro avviso sbagliati, come quello di un nuovo stadio nell’area Mercafir.
Il progetto di un nuovo stadio è sbagliato perché il contesto fiorentino non può sostener la presenza di due stadi senza che uno dei due resti sottoutilizzato e si degradi (la manutenzione del Franchi è stimata in un costo costo di circa un milione di euro all’anno). Per questo abbiamo voluto incontrare l’architetto Carlo Bandini dello studio BCB Progetti srl per approfondire il progetto che il suo studio ha presentato in conferenza stampa il 22 luglio, e poi reso nuovamente pubblico, dopo sostanziali modifiche, a fine settembre. Il progetto di restyling sul Franchi della BCB Progetti è molto interessante, ed è piaciuto sia a noi Verdi che al presidente del Quartiere 2 Michele Pierguidi.
Ad oggi, però, non ci risulta che abbia trovato l’interesse della Fiorentina né del Comune di Firenze, che al momento ha presentato alla Soprintendenza un unico progetto di restyling del Franchi, quello proveniente dallo studio dell’architetto Casamonti.
In un’intervista di fine settembre il soprintendente Pessina ha espresso la “massima apertura” sulla disponibilità a modificare il Franchi, ma ha fatto notare che l’unico progetto che gli è stato presentato va oltre un restyling, prevedendo la demolizione di circa il 30% dello stadio progettato da Pierluigi Nervi. Lo stesso Soprintendente ha fatto notare anche che le soluzioni esistono, sarebbe ad esempio possibile avvicinare le curve al campo, senza stravolgere la vecchia struttura.
Siamo convinti che per trovare la soluzione giusta la Soprintendenza non dovrebbe avere in mano un solo progetto ma sarebbe naturale che potesse valutarne molti. A questo scopo una soluzione naturale è quella di un bando internazionale sul Franchi.
Tra le proposte esistenti ci sembra che la proposta della BCB Progetti abbia degli importanti pregi e sarebbe quindi importante che venisse valutata dalla Soprintendenza. Alcuni punti importanti in questa proposta sono i seguenti:
Il Sindaco negli ultimi giorni ha dichiarato di dover accantonare l’opzione che prevede la ristruttrazione del Franchi a causa dell’impossibilità di abbattere le curve, ma il progetto dello studio BCB Progetti dimostra che un serio restyling è possibile anche senza abbatterle. Se la scelta di costruire un nuovo stadio dipende in realtà dalla preferenza della Fiorentina a costruire uno stadio su un terreno di proprietà o dall’assoluta volontà del Comune di costruirlo sull’area Mercafir, deve essere detto con chiarezza ai cittadini, senza far passare il messaggio che la Fiorentina non giocherà più a Campo di Marte per “colpa” della Soprintendenza.
Su un tema così cruciale per l’urbanistica futura della città, noi riteniamo che il Comune debba muoversi con massima trasparenza e attenzione alle criticità in gioco, cosa che fino ad oggi non abbiamo visto. A maggior ragione in un momento in cui il Quartiere 2 e il Comune sono su posizioni molto diverse, il dibattito politico deve essere aperto, non ci devono essere scelte preconfezionate. Siamo la città che ha visto nelle ultime aree edificabili, pensiamo a Castello e alla scuola marescialli, scelte sbagliate non partecipate, non trasparenti e impattanti. Non vogliamo che questo succeda ancora.
Vogliamo inoltre che un monumento come il Franchi non venga abbandonato ma sia ripensato e reso adeguato ai tempi. Questo non può essere fatto presentando alla Soprintendenza, alla quale bisogna riconoscere una grande apertura sul tema negli ultimi mesi, un solo progetto.
Serve un bando di respiro internazionale, serve un dibattito politico istituzionale al posto della politica dei tweet in cui si comunicano scelte già in corso. Serve insomma coinvolgimento, partecipazione, lungimiranza.
Foto: www.bcbprogetti.it/
Aderiamo alla manifestazione regionale indetta dal Coordinamento Toscana per il Kurdistan in solidarietà al popolo curdo assediato dall’esercito turco.
Ci uniamo alla richiesta di immediata sospensione dell’invasione in territorio siriano delle truppe di Ankara.
Sabato 19 Ottobre saremo presenti in piazza Santa Maria Novella dalle 15:00.
Dopo l’annuncio della Fiorentina abbiamo letto e sentito soltanto commenti entusiastici riguardo alla realizzazione del nuovo centro sportivo. Siamo molto contenti che la società Viola abbia intenzione di investire sul nostro territorio e auguriamo il meglio per l’avventura imprenditoriale di Commisso.
Il progetto, stando alle dichiarazioni della società, dovrebber prevedere una decina di campi sportivi, di cui due con tribune coperte, una piscina, una palestra, un campus, per un totale di 25 ettari dedicati a quello che dovrebbe diventare uno dei più grandi centri sportivi italiani.
I commentatori si sono concentrati sul valore sportivo dell’investimento. Ma nessuno parla del fatto che il progetto del nuovo centro sportivo della Fiorentina a Bagno a Ripoli andrà a cancellare una delle ultime aree rurali residue nella zona periurbana est di Firenze, un’area che mantiene ancora dal punto di vista storico e paesaggistico degli aspetti caratteristici della pianura agricola perifluviale con mosaici di coltivi ed incolti, siepi e boschetti, ville storiche, aspetti ormai quasi del tutto scomparsi nella periferia fiorentina a causa dei rapidi processi di consumo di suolo e di “valorizzazione del territorio”.
Non a caso il Piano di Indirizzo Territoriale della Toscana (PIT) individua quest’area come un importante elemento ecologico essendo una delle poche area agricola di pianura rimaste nella zona. Per questo il PIT la identifica come area critica da conservare, bene paesaggistico vincolato, ma soprattutto una delle ultime aree di pianura ove il mantenimento di una continuità ecologica tra il paesaggio collinare, la pianura e il fiume Arno costituisce un elemento di grande valore paesaggistico.
Se si esamina la Scheda di ambito relativa a Firenze – Prato – Pistoia e in particolare la sua parte conclusiva, intitolata ‘Indirizzi per le politiche‘, si trova un riferimento specifico a quest’area, laddove, al punto 39, viene inserito fra gli obiettivi di ambito:
“nella pianura orientale di Firenze garantire il mantenimento delle residuali zone agricole di Rovezzano e di Pian di Ripoli, ostacolando i processi di urbanizzazione e mantenendo e riqualificando i varchi di collegamento tra le pianure agricole e le colline.”
Da questi dati si evince chiaramente come queste aree debbano essere tutelate perché svolgono delle funzioni importanti per garantire la qualità dell’ambiente in cui viviamo.
Se si vuole investire sul territorio e garantire alla Fiorentina la squadra che merita di essere, ciò non può avvenire in deroga a quelli che sono i vincoli che la situazione odierna ci impone. Non si tratta di “essere contro”, ma di “essere per” nel rispetto di quelle condizioni che oggi non sono più rimandabili.
Contrariamente a quanto riportato da alcuni giornali, non si tratta di una zona a rischio degrado da “riqualificare”, bensì di un territorio rurale in grado di fornire importanti “servizi” alla città, alle sue comunità e alle sue attività economiche. Si pensi alla mitigazione dei cambiamenti climatici, alla qualità di un paesaggio a fini turistici, alla mitigazione del rischio idraulico, e alla qualità dell’aria e della vita dei cittadini.
Negli ultimi mesi assistiamo ad amministratori e imprenditori sempre più predisposti, a parole, a ridurre l’impatto delle nostre città e a favorire soluzioni che non prevedono consumo di suolo. Nei fatti però un approccio ecologista allo sviluppo delle città sembra ancora molto lontano. Anche nel caso del centro sportivo della fiorentina è difficile capire perché non si possano trovare soluzioni per un progetto di questo tipo, soluzioni che vadano davvero a ripristinare aree già artificializzate del comprensorio fiorentino, o a meglio utilizzare aree già destinate a tale funzioni piuttosto che andare ad urbanizzare e cementificare aree verdi residue. L’area di Bagno a Ripoli appare anche abbastanza incomprensibile nel momento in cui la società viola sembra orientata a costruire un nuovo stadio in una zona a nord ovest della Città metropolitana di Firenze.
Siamo in un periodo di grandi cambiamenti climatici e di enormi problemi ambientali, che incidono direttamente sulla qualità della vita dei cittadini, soprattutto nelle città, dove occorre invertire l’approccio ai problemi: ogni residuale area rurale attorno alle città non deve essere considerata come terreno di conquista per nuove infrastrutture ma come bene comune da preservare individuando soluzioni nuove nel migliore utilizzo delle aree già trasformate e urbanizzate.
Chiediamo al Comune di Bagno a Ripoli di invertire la rotta e non approvare varianti al Piano Strutturale che andrebbero a cancellare dei valori del territorio che non torneranno mai più.
Chiediamo nello stesso tempo alla Regione e alla Soprintendenza di perseguire gli importanti obiettivi individuati in questa direzione dal PIT e dalla stessa normativa urbanistica regionale, opponendosi ad un ulteriore consumo di suolo nelle periferie delle nostre città, e in particolare alla trasformazione di 25 ettari di territorio rurale come previsto per il nuovo centro sportivo a Bagno a Ripoli.
Nello stesso tempo chiediamo a tutti i Comuni dell’area metropolitana fiorentina di individuare aree più idonee ad un progetto di centro sportivo della Fiorentina, che non vogliamo che sia cancellato bensì localizzato in luogo più adeguato.
Quella dei Verdi è forse una voce fuori dal coro, ma riteniamo che la voce ‘stonata’ sia non la nostra ma quella di chi dichiara una cosa (consumo zero del territorio) e poi ne fa un’altra.
Potete ascoltare l’audio del nostro intervento radiofonico riguardo al centro sportivo registrato e gentilmente concesso da Radio Toscana.
Ci vuole forza per cambiare davvero un sistema che sta andando al collasso.
Un sistema che ciecamente continua a considerare i danni ambientali e sociali provocati come aspetti collaterali necessari.
Questa forza arriva, prepotente, dai ragazzi di Friday For Future con il Report della loro Assemblea Nazionale.
Noi lo accogliamo e condividiamo, consapevoli che abbiamo la responsabilità di rispondere al loro appello per portare avanti una proposta nuova, radicale, ecologista, orientata alla giustizia sociale.
Report della seconda assemblea nazionale FFF Italia, Napoli, 05.10.2019
Il movimento Fridays For Future Italia, rappresentato nella seconda assemblea a Napoli da oltre 80 assemblee locali, ha condiviso queste posizioni per rilanciare la lotta per la giustizia climatica.
Per noi la giustizia climatica è la necessità che a pagare il prezzo della riconversione ecologica e sistemica sia chi fino ad oggi ha speculato sull’inquinamento della terra, sulle devastazioni ambientali, causando l’accelerazione del cambiamento climatico. I costi della riconversione non devono ricadere sui popoli che abitano nei Paesi del Sud del mondo. Siamo solidali con i e le migranti e con tutti i popoli indigeni. Siamo i/le giovani, e non solo, contro gli attuali potenti della terra, contro le multinazionali e contro chi detiene il potere economico e politico che non stanno facendo nulla in proposito. La giustizia climatica è per noi strettamente connessa alla giustizia sociale, la transizione ecologica dev’essere quindi accompagnata dalla redistribuzione delle ricchezze, vogliamo un mondo in cui i ricchi siano meno ricchi e i poveri meno poveri. Cambiare sistema e non il clima non è per noi uno slogan. Il cambio di sistema economico e di sviluppo è per noi un tema centrale e necessariamente connesso alla transizione verso un modello ecologico.
Cambiare il sistema vuol dire anche non analizzare la questione ecologica come questione settoriale, ma riconoscere le forti connessioni che esistono con le lotte transfemministe, antirazziste e sociali legate ai temi del lavoro, della sanità e dell’istruzione e metterle in connessione. I criteri che chiediamo di rispettare a livello globale riguardo la parità di genere sono assunti anche nelle pratiche e nelle metodologie del nostro movimento. L’intersezionalità è una modalità di lettura che permette di leggere in termini analitici la società sistematizzando le diverse lotte e la molteplicità di oppressioni che caratterizzano il nostro sistema patriarcale, sessista, razzista, colonialista, machista e basato sulla logica dell’accumulazione e del profitto. Le nostre rivendicazioni come studenti/esse si devono porre l’obiettivo di entrare in sintonia, e non in contraddizione, con i bisogni di lavoratrici e lavoratori, delle abitanti e degli abitanti delle nostre città, delle nostre province e di tutti i nostri territori. Ci lasciamo con la volontà di approfondire relazioni con la comunità scientifica, essendo consapevoli che i dati sono scientifici, ma le scelte sono politiche. Dobbiamo essere in grado di ripensare il sistema, nella sua totalità, senza lasciare indietro nessuna persona. La nostra casa è in fiamme, e noi stiamo spegnendo l’incendio consapevoli che una volta spento l’incendio la casa non potrà essere più la stessa.
Vogliamo una casa che metta al centro il processo democratico e partecipativo ribaltando le logiche di potere che caratterizzano il nostro sistema.
Non vogliamo più sussidi sui combustibili fossili, vogliamo una tassazione che colpisca i profitti della produzione e non solo il consumo. Pretendiamo l’obiettivo emissioni zero entro il 2030 per l’Italia.
Vogliamo la decarbonizzazione totale entro il 2025 passando alla produzione energetica totalmente rinnovabile e organizzata democraticamente con le realtà territoriali. Siamo fermamente contrari a ogni infrastruttura legata ai combustibili fossili, come il metanodotto in Sardegna, la TAP. Chiediamo la dismissione nei tempi più rapidi possibili di ogni impianto inquinante attualmente operativo, come l’ILVA. Tutte le fonti inquinanti devono essere chiuse attivando tutte quelle bonifiche, sotto controllo popolare e pagate da chi fino ad oggi ha inquinato. Il nostro futuro è più importante del PIL. Le aziende inquinanti devono chiudere, ma devono essere garantiti posti di lavoro e tutele a tutte quelle persone coinvolte nella transizione. Non accettiamo il ricatto tra lavoro, salute e tutela dell’ambiente.
Vogliamo un investimento nazionale su un trasporto pubblico sostenibile, accessibile a tutti e di qualità. Vogliamo dei trasporti a emissioni zero e necessariamente gratuiti. Un trasporto nazionale e territoriale che rispecchia i bisogni dei più, organizzato e pianificato secondo un processo di coinvolgimento democratico di tutte le abitanti e di tutti gli abitanti.
Vogliamo un cambio di rotta sostanziale per quanto riguarda il sistema d’istruzione e il mondo della ricerca. Esigiamo un ripensamento della didattica in ottica ecologista e che si investa sulla ricerca riconoscendo il valore dei saperi nei processi trasformativi della realtà. Riconosciamo la centralità di scuole e università nel processo di cambio di sistema per il quale stiamo lottando. Non vogliamo che il MIUR faccia operazioni di greenwashing, ma che sospenda immediatamente ogni accordo con le multinazionali e con le aziende inquinanti.
Ci dichiariamo contrari a ogni grande opera inutile e dannosa, intesa come infrastruttura, industria e progetto che devasta ambientalmente, economicamente e politicamente i territori senza coinvolgere gli abitanti nella propria autodeterminazione. Sosteniamo ogni battaglia territoriale portata avanti dai tanti comitati locali, come No-TAV per Val di Susa, No-Grandi navi per Venezia, no Muos per Catania e Siracusa, no TAP per Lecce e Stopbiocidio per Napoli e la terra dei fuochi, Bagnoli Libera contro il commissariamento, la lotta all’Enel per Civitavecchia, la Snam per l’Abruzzo, il Terzo Valico per Alessandria. Rifiutiamo ogni speculazione sullo smaltimento dei rifiuti, sul consumo del suolo e quelle infrastrutture che causano dissesto idrogeologico. Pretendiamo che l’unica grande opera da portare avanti sia la bonifica e la messa in sicurezza dei territori.
Non possiamo inoltre ignorare che l’agricoltura industriale svolga un grande ruolo nei cambiamenti climatici, nella devastazione ambientale e nello sfruttamento delle persone: le monocolture e anche l’allevamento intensivo sono modelli del tutto insostenibili che vanno fermate nel più breve tempo possibile.
Vogliamo che venga dichiarata l’emergenza climatica ed ecologica nazionale, consapevoli che non può essere solamente un’opera di greenwashing della politica.La dichiarazione di emergenza climatica dev’essere fin da subito uno strumento trasformativo del presente. Un passo che da forza al nostro movimento, senza però mai dimenticare che la vera alternativa è quella che tutti i giorni pratichiamo nei nostri territori e quella che narriamo nelle nostre iniziative. Dobbiamo rendere complementari le pratiche di autogestione ecologista con le forti richieste che facciamo alla politica. Non siamo disposti a scendere a compromessi, non vogliamo contrattare, vogliamo l’attuazione di ogni nostra rivendicazione per garantirci un futuro, ma siamo consapevoli che lo vogliamo ora, nel presente perché non c’è più tempo.
Fridays For Future è un movimento orizzontale, inclusivo e democratico. Ripudiamo il fascismo in quanto ideologia antidemocratica e violenta. Rivendichiamo l’autonomia e sovranità delle assemblee locali, in quanto linfa vitale del nostro movimento e di cui le assemblee locali sono gli spazi decisionali. Crediamo infatti che la forma assembleare garantisca un modello decisionale partecipativo, aperto e orizzontale. Dalle assemblee locali infatti devono emergere le esigenze di mobilitazione, di organizzazione e di approfondimento.
L’altro spazio decisionale collettivamente riconosciuto è l’assemblea nazionale, riconosciuto come spazio decisionale dove prendere decisioni specifiche di interesse nazionale e che serva per dare le linee guida da seguire.
Lanciamo il quarto sciopero globale per il 29 novembre, proponendolo a livello internazionale sotto lo slogan “block the planet”. Quella giornata di mobilitazione ci permetterà di sperimentare le tante pratiche discusse in questi giorni, come le pratiche di blocco e di disobbedienza civile caratterizzate dalla partecipazione pacifica e di massa.
Sosteniamo e saremo presenti alle mobilitazioni che lanceranno le realtà locali a Napoli a dicembre in concomitanza con la Cop Mediterranea, incontro interministeriale sul tema dei cambiamenti climatici dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Usciamo da questa assemblea nazionale con la consapevolezza di essere in grado, insieme, di cambiare il sistema. Non siamo disposti ad arrenderci, noi siamo la resistenza.
A pochi mesi dalle elezioni regionali la Giunta Regionale sembra che voglia chiudere la discussione sulla futura gestione della Riserva Naturale del Padule di Fucecchio, fra sconcertanti ipotesi di frammentazione amministrativo-gestionale ed il perdurare invece di una gestione unitaria.
A quanto è dato sapersi, incontri previsti in questi giorni fra Regione ed Enti locali potrebbero portare ad una decisione conclusiva.
Avranno la meglio le spinte localistiche che vogliono frammentare e depotenziare l’area protetta oppure prevarrà la linea del mantenimento di una gestione unica nell’ottica di una tutela unitaria e anzi di una implementazione dell’area protetta? Non si tratta di disquisizioni tecnico-amministrative; in gioco è il futuro della maggiore zona umida interna d’Italia con il suo patrimonio di biodiversità.
E’ per questo che i Verdi della Toscana chiedono al Presidente Rossi di abbandonare qualsiasi ipotesi di smembramento dell’area e di procedere sull’unica strada che può condurre verso la tutela concreta del Padule, cioè sulla conferma di una gestione unica e anzi sul progressivo ampliamento dell’area protetta, che a tuttoggi corrisponde ad un magro ‘decimo’ del Padule.
Si fa notare come lo stesso Governo regionale che ora risulta voler demolire la Riserva Naturale del Padule di Fucecchio, è quello che ha approvato come necessità ed azione prioritaria nell’ambito della strategia regionale sulla biodiversità (facente parte del PAER 2015) proprio l’ampliamento dell’area protetta ricadente sul Padule.
Per i Verdi la decisione del Governo regionale sul futuro dell’area sarà non solo un elemento fondamentale per il territorio in questione ma sarà anche un segnale sull’intera politica del PD sulle aree protette: il PD vuole un sistema di aree protette efficaci per la conservazione della biodiversità regionale (e per un ambiente migliore anche per tutti i cittadini toscani) oppure no (e anzi intende anche smantellare tutto quanto fatto fino ad oggi)?
Questa è la domanda che non solo i Verdi ma anche moltissimi cittadini (ed elettori) della Toscana fanno al Presidente Rossi. Con la decisione sul Padule di Fucecchio il PD ci darà la risposta.
Federazione Regionale dei Verdi – Europa Verde Toscana
[foto di copertina Silvio Cavini-Benedetti]
di Paolo Galletti
Pubblichiamo la riflessione di Paolo Galletti, Consigliere federale dei Verdi dell’Emilia Romagna. Il focus sull’Emilia-Romagna è sostituito, in corsivo, da un analogo testo riguardo alla Toscana.
Potrebbe sembrare inopportuno, di fronte ad imminenti elezioni regionali e dopo la nascita del nuovo governo giallo rosso, analizzare il voto ad Europa Verde alle elezioni europee. In realtà cercare di capire cosa è successo alle elezioni europee può aiutare nelle scelte difficili che abbiamo davanti.
Per decidere liberi dai luoghi comuni che abitano quasi tutti i media e che spesso sono molto distanti dalla realtà.
Un solo esempio: i Verdi sono spesso messi nel mucchio dei cosiddetti “radical chic” dai loro avversari. In realtà una dettagliata analisi degli oltre ventimila simpatizzanti che nel 2018 hanno devoluto il due per mille alla Federazione dei Verdi, (nel 2019 sono diventati quarantamila) dimostra che il reddito medio di chi indica i Verdi per il due per mille è inferiore a quello di chi lo devolve al PD o a Possibile ed analogo a quello di chi sceglie Lega e poco più alto di chi sceglie Rifondazione Comunista. Quindi minoranza sì, magari acculturata, ma non ricca, anzi popolare.
1 – Lassù qualcuno ci ama
Prima di analizzare il risultato di Europa Verde è necessario capire come si è giunti alla proposta elettorale di Europa Verde.
Sia da parte della dirigenza dei Verdi Europei che da parte dei dirigenti verdi italiani si sono spesi molti mesi per tentare un accordo elettorale con varie forze di sinistra, radicali e civiche per una lista unica alle europee. I dissensi su questa posizione si sono espressi soprattutto in Emilia Romagna nella mozione dell’assemblea regionale. Si sono persi mesi preziosi per cercare accordi con Pizzarotti, che poi ha abbandonato la compagnia a ridosso della presentazione delle liste, con Cappato che poi ha perso il congresso di Più Europa ed infine con Possibile che ha fatto l’accordo salvo poi, con le false accuse di Civati, gettare fango sui Verdi durante la campagna elettorale.
Partendo per tempo con una proposta verde chiara, aperta a chi voleva fare i Verdi e non altro, avremmo avuto quasi sicuramente più consensi.
Una serie di fortunate circostanze ha fatto sì che si presentasse un bel simbolo chiaramente verde ed univoco.
La scarsa esposizione ai media non ha dato spazio più di tanto alle negative polemiche di Civati, ed alla fine è uscito un risultato più che dignitoso: un 2,32 per cento a livello nazionale.
Poco meno di Più Europa, sbandierata sui media e molto più della Sinistra di Leu, presente in Parlamento, che non supera il due per cento.
Oltre 620.000 voti in termini assoluti, un bel viatico per ricostruire un soggetto politico verde anche in Italia.
(Anche se occorre ricordare il milione di voti che i Verdi ricevevano ai tempi del Centrosinistra.)
Il ricatto del voto utile con questi elettori non ha funzionato. A dimostrazione che sono elettori meno politicizzati e o elettori che vogliono un cambiamento. Il peso dei Verdi in Europa ha fatto da traino.
Uno spazio per i Verdi esiste e dopo il risultato le adesioni ai Verdi sono cresciute.
Forse un poco di autocritica da parte della dirigenza europea e nazionale che ha perso tempo prezioso inseguendo ipotesi non praticabili sarebbe utile per evitare errori simili in futuro.
I fenomeni mediatici sono per definizione effimeri e spesso miraggi. Una buona politica deve tenerne conto ma non arrendersi ad essi. Un poco più di fiducia nella proposta verde e nella sua capacità attrattiva sarebbe servita anche per avere un risultato più significativo.
2 – Il voto ad Europa Verde nel Nord-Est ed in Emilia Romagna.
Nel Nord-Est, Europa Verde ottiene il 3,15%, 182.347 voti;
in Alto Adige l’8,68%
in Trentino il 4,13%
in Friuli il 2,97%
in Emilia Romagna il 2,93%
in Veneto il 2,74%
Il voto nelle città del Nord-Est
Bolzano 9,24%
Trento 4,85%
Bologna 4,56%
Trieste 4,31%
Venezia 3,95%
3 – Le preferenze nel Nord-Est
Nessuna novità per quanto riguarda il sud tirolese Lantschner con 11.506 preferenze.
Nulla da eccepire sulla qualità del candidato, fondatore di casa clima.
Ma da sempre il Sud Tirolo, Alto Adige, si comporta come un maso chiuso, con una tradizione di preferenze molto diffuse a fronte di una quantità di voti esigua in termini assoluti rispetto a regioni più grandi. Anche in altre liste il candidato sud tirolese batte il capolista (vedi Pizzarotti). Un tema di parassitismo politico da affrontare con decisione in futuro.
La novità è rappresentata dalla capolista Silvia Zamboni con 9.705 preferenze che stacca la terza arrivata, la sudtirolese Kienel con 4.917, e Angelo Bonelli con 4.091.
Nelle poche settimane di campagna elettorale che non ha potuto nemmeno toccare tutte le province del nord est e nei pochissimi interventi televisivi Silvia Zamboni si è imposta per meticolosa preparazione e per efficacia comunicativa con uno stile di gentilezza verde e di fermezza nelle idee e nelle proposte.
La dimostrazione che serve una comunicazione fondata su contenuti ed esperienza. Nessun superficiale nuovismo, ma profondità della cultura verde.
4 – Nord-Ovest 2,43%
Lombardia 2,46%
Milano 3,13%
Piemonte 2,31%
Torino 2,76%
Liguria 2,47%
Genova 2,84%
5 – Centro 2,14%
Toscana 2,50%
Arezzo 1,97% (provincia) 2,27% (comune)
Firenze 3,11% (provincia) 3,82% (comune)
Grosseto 1,84% (provincia) 1,96% (comune)
Livorno 2,71% (provincia ) 3,22% (comune)
Lucca 2,5% (provincia) 3,36% (comune)
Massa-Carrara 1,85% (provincia) Massa 2,13% (comune)
Pisa 2,47% (provincia) 3,54% (comune)
Pistoia 2,22% (provincia) 2,86% (comune)
Prato 2,00% (provincia) 2,05% (comune)
Siena 2,32% (provincia) 2,8% (comune)
Il miglior risultato si è quindi registrato nel Comune di Firenze, dove si sono tenute anche le amministrative. Lì – unico caso in Toscana insieme a Castelfiorentino – eravamo presenti con il nostro simbolo e correvamo da soli con un nostro candidato sindaco. In quel caso, per quanto il risultato sia stato un dignitoso 1,9%, i voti a Europa Verde non si sono tradotti in altrettanti voti per i Verdi a livello locale. La paura di un sindaco leghista e la ridotta esposizione mediatica del candidato Andrés Lasso e del partito rispetto agli avversari sono possibili motivi di questa mancata trasposizione sul locale dell'”onda verde”, ovviamente anche l’operazione messa in piedi dal PD di una lista “Firenze + Verde” in sostegno al sindaco uscente non ha giovato. Simile discorso per Damiano Ghiozzi, candidato sindaco a Castelfiorentino, che ha ottenuto l’1,85% dei voti.
Marche 2,25%
Ancona 3,59%
Umbria 1,75%
Perugia 2,65%
Lazio 1,91%
Roma 2,22%
6 – Sud 1,68%
Abruzzo 1,57%
Pescara 2,38%
Puglia 1,99%
Bari 2,22%
Taranto 6,01%
Basilicata 2,37%
Potenza 3,04%
Matera 3,23%
Campania 1,50%
Napoli 2,20%
Calabria 1,52%
Reggio Calabria 2,28%
Crotone 5,58%
7 – Isole 1,27%
Sicilia 1,17%
Palermo 2,25%
Catania 1,44%
Siracusa 1,57
Sardegna 1,60%
Cagliari 2,11%
Sassari 1.74%
8 – Deboli al Centro ed al Sud (con lodevoli eccezioni)
Emerge dai dati una debolezza della proposta verde al centro ed al sud.
Sotto Firenze ed Ancona solo Potenza e Matera in una Basilicata che supera la media nazionale, ovviamente TARANTO con 6,01% e Crotone con il 5,58%, superano il tre per cento.
Tutte le altre grandi città sono sotto il tre per cento.
Regioni come Lazio e Campania sotto il due per cento.
Città come Roma e Napoli poco sopra il due per cento.
L’onda verde ha lanciato qualche spruzzo oltre le Alpi, nord est soprattutto, e qualcosa ha passato anche l’appennino tosco emiliano romagnolo, ma non oltre.
Sarebbe interessante capire il perché: motivi di cultura politica, forse una diversità di insediamenti della green economy, forte nel nord est più che in altre zone, forse diffusione di associazioni…
Ma si impone una riflessione sul modo di essere dei Verdi anche in Regioni come la Campania che vedono eletti nelle istituzioni ed un numero significativo di iscritti ai Verdi. Evidentemente non basta per essere attrattivi di voti. Risulta addirittura controproducente se non si interpreta il ruolo di Verdi in modo adeguato.
E forse il modo di fare politica non è adeguato.
9 – Estero 9,74%
In un contesto informativo diverso da quello nazionale i risultati sono assai diversi.
Eppure sono sempre italiani quelli che votano.
Forse qualcuno delle migliaia di giovani laureati che ogni anno lasciano l’Italia per far fruttare i loro talenti in altri paesi che li sanno valorizzare.
10 – Che fare?
Identità e apertura: le due cose sono complementari; se c’è una identità consolidata ci sarà apertura e capacità di includere chi si avvicina per costruire insieme i Verdi.
Il progetto Europa Verde può affermarsi se riesce ad aggregare non spezzoni di ceto politico in cerca di collocazione, bensì espressioni della società, della cultura, della scienza, dell’economia verde, che oggi non sono rappresentate nella politica.
La bussola per la rappresentanza negli organismi non può che essere il peso elettorale, i voti ricevuti nelle varie regioni. Criteri spartitori in base a sigle o a supposte notorietà renderebbero da subito non credibile il progetto. Da scoraggiare invece cercatori di ruoli e scopritori dell’acqua calda che si avvicinano appena si aprono possibilità di essere eletti da qualche parte .
Anche la tentazione di comporre mosaici con pezzi di ceto politico dovrebbe essere abbandonata.
Scorciatoie politiciste non ci hanno portato fortuna.
Servono alcuni strumenti.
Una scuola di eco-politica per chi vuol cimentarsi nel fare i Verdi diventa oggi una necessità.
Non si può dare per scontata una cultura ecologista che oggi si presenta spezzettata, in brandelli non sempre componibili con un bricolage fai da te, magari in sintonia con le mode effimere del momento.
Un comitato scientifico ampio ed articolato che aiuti nel fare le scelte programmatiche.
Un funzionamento democratico e federale senza cedere a tentazioni fintamente democratiche ma in realtà plebiscitarie.
Una autonomia nella comunicazione sapendo usare tutti i mezzi ma senza nessuna sudditanza ad ogni “sentiment” dell’attimo fuggente. Della moda cangiante.
Non dobbiamo seguire la moda ma creare una nuova moda.
Dobbiamo aiutare a costruire un nuovo senso comune ecologista, spesso andando controcorrente, se la corrente porta nell’abisso.
Orientare la corrente.
Rappresentare il mondo dell’economia verde in tutte le sue sfumature, un mondo oggi sotto-rappresentato nella politica, è un compito possibile.
Evitare ogni tentazione liberista. I verdi da sempre mettono insieme questione ecologica e questione sociale. Non sono una associazione ambientalista.
Lo stato sociale, se pur aggiornato, e la riduzione delle disuguaglianze sono alla base della politica verde che non si affida al solo mercato ed agli spiriti animali del capitalismo.
Rimanendo una forza politica rigorosamente laica dobbiamo aprire una interlocuzione con coloro che vogliono mettere in pratica l’enciclica Laudato si‘ o gli insegnamenti del Dalai Lama sulla custodia di Madre Terra o i precetti di altre fedi per un impegno ecologista.
In un momento storico in cui si usano le religioni come “instrumentum regni”, come succedaneo di identità perdute e distrutte dalla globalizzazione, occorre favorire il dialogo inter-religioso che può aiutare l’umanità a raggiungere quella necessaria coscienza di specie per affrontare insieme, in modo efficace l’emergenza climatica e quella sociale.
L’obiettivo dei Verdi è la transizione ecologica, non eleggere qualcuno nelle istituzioni.
Avere degli eletti è utile e necessario per fare politiche ecologiste.
Se non si fanno politiche ecologiste avere eletti risulta addirittura controproducente.
Un radicamento territoriale, una formazione politica solida, una crescita ordinata sono gli obiettivi del progetto Europa Verde per rispondere alle istanze ecologiste della società e per offrire uno strumento efficace di azione politica alle tante persone che decidono di assumersi la responsabilità del bene comune.
11 – FRIDAY FOR FUTURE
come essere radicali e pragmatici insieme.
Greta è riuscita a ottenere quello che consessi di autorevoli scienziati non erano riusciti:
imporre il tema emergenza climatica.
E lo ha fatto con argomenti assai radicali e terrorizzanti se pur fondati su dati scientifici inoppugnabili.
Di fronte a lei i Verdi italiani, accusati a torto di fondamentalismo, appaiono assai moderati e governisti.
Motivo questo di riflessione. E di cambio di rotta.
La generazione dei sedicenni si è svegliata e, per la prima volta dopo le battaglie antinucleari, si va in piazza per l’emergenza climatica.
Un movimento radicale nell’impostazione e pragmatico nella interlocuzione con i decisori politici ed economici (vedi Greta a Davos).
Con la pericolosa ingenuità di essere “oltre” la politica. E quindi strumentalizzabile dai camaleonti di turno.
Ma i sedicenni diventeranno diciottenni e avranno la possibilità di votare.
Di fronte ad una proposta verde, radicale e pragmatica, forse si impegneranno non solo nel voto ma nella costruzione difficile e paziente di un soggetto politico.
Intanto apriamo scuole di politica verde.
Qualcuno di loro parteciperà.
Un libro di testo, UN MANUALE, già abbiamo contribuito a pubblicarlo anche in italiano: DRAWDOWN, come uscire dall’emergenza climatica.
12 – Una formazione verde, ancella del pd, Cinque Stelle partito ambientalista: due notizie false
L’ecologismo è tornato di moda, basta guardare la pubblicità. Anche in politica si sprecano parole come Verde, sostenibile, green new deal. Economia circolare, green economy… il sottotitolo della, festa nazionale del PD era: per un’Italia verde, giusta, competitiva.
Quindi si apre una competizione all’ultimo sangue .
Chi è davvero verde? Questo ci obbliga ad essere migliori, a studiare, a fare proposte radicali e realistiche insieme.
Comun denominatore del greenwashing è la faciloneria.
Si può mettere insieme l’attuale modello produttivo e l’attuale stile di vita con la conversione ecologica.
Sarebbe bello vero? Peccato che non sia possibile.
Occorrono cambiamenti radicali necessari, magari dolorosi, per risolvere davvero l’emergenza climatica e tutto il resto. Dobbiamo renderli desiderabili ma non sarà facile.
Il PD lavora ad un soggetto verde o rosso verde satellite, magari con resti di ceto politico della sinistra eternamente in cerca di identità. I Cinque stelle dopo la perdita di credibilità con il governo rosso nero ora si atteggiano a salvatori della patria e qualche cosa dovranno pur fare.
Ma sono tentativi di imitazione. L’originale, il marchio, è quello dei Verdi.
Se usano le nostre parole è perché non possono farne a meno di fronte ad una diversa consapevolezza che si sta diffondendo.
Se sapranno crescere, mantenendo la loro reputazione, i Verdi saranno la vera risposta.
Intanto si avvii una campagna per piantare milioni di alberi.
Occasione per farci conoscere, ovunque.
Consideriamo il futuro della sanità toscana una delle questioni chiave sulla quale discutere in vista delle prossime elezioni regionali del 2020.
Uno dei temi di attualità è il grande disagio che si vive all’interno dei pronti soccorsi della regione. Disagio per gli utenti, come avrà potuto sperimentare chi abbia avuto la sfortuna di averne bisogno, ma grande disagio anche per il personale, infermieristico, medico eper il personale ausiliario.
Sembra che attualmente i pronti soccorsi non siano in grado di rispondere in modo fluido alle enormi richieste che provengono dagli utenti e che lavorare nell’urgenza si stia trasformando in un sacrificio per il quale è difficile anche solo trovare il personale sanitario necessario e, una volta trovato, mantenerlo. Ci siamo interrogati su alcuni possibili perché e su eventuali risposte, e ne abbiamo discusso con Simone Magazzini, responsabile dell’area Emergenze del Santo Stefano di Prato e coordinatore di tutte le aree Emergenza dell’Asl Toscana Centro.
Verdi Firenze: Molti dicono che il problema del sovraffollamento dei Pronti Soccorsi (PS) toscani sia il malfunzionamento della medicina del territorio. Lei cosa ne pensa?
Simone Magazzini: Circa 15 anni fa si diceva che al sovraffollamento dei PS si dovesse rispondere con una migliore organizzazione dei servizi territoriali.
Continuare a dare questa risposta può significare solo due cose: o non si è lavorato bene per risolvere quel problema, oppure quella era un’analisi errata. Oltre a questo, almeno in alcune realtà regionali, si aggiunge un problema di posti letto che andrà affrontato per non veder peggiorare il fenomeno nei prossimi anni.
VF: Come si risponde al continuo incremento del numero di accessi nei PS toscani?
SM: Per prima cosa un dato, giusto per dare un’idea. Nel 2010 il PS di Prato aveva 72.000 accessi /anno. Nei 5 anni successivi, dal mio arrivo in ospedale, la riorganizzazione del PS e dell’area di osservazione breve ha permesso la riduzione dei tempi di attesa di un terzo.
Attualmente Prato ospita 102.000 accessi/anno in PS.
Questo suggerisce che nel momento in cui il servizio offerto migliora (per qualità e per tempi di attesa) anche la domanda aumenta.
Finché il servizio di PS, seppur con i suoi ritardi, risulterà più efficiente e meno caro rispetto alla medesima diagnostica eseguita sul territorio, le persone continueranno a rivolgersi al PS, anche per prestazioni improprie.
VF: Una risposta a questo dovrebbe essere una seria politica sui ticket sanitari.
SM: Ad oggi, chiunque abbia una esenzione per qualunque patologia, è esente dal ticket di PS, anche se l’accesso in ospedale si è verificato per una ragione del tutto non attinente alla patologia di base.
A mio parere si dovrebbe prevedere un ticket corrispondente al codice di gravità di uscita.
Se la diagnosi e il codice gravità di dimissione sono compatibili con una diagnostica ambulatoriale, significa che l’accesso in PS è improprio, pertanto il malato dovrebbe pagare il ticket per la prestazione ricevuta.
Ciò facendo però un’eccezione per coloro che giungono in PS con la richiesta del proprio medico curante: in tal caso il paziente dovrebbe essere esente dal pagamento della prestazione, a prescindere dalla propria diagnosi di uscita, in quanto è stato inviato in ospedale dopo valutazione medica e non per propria iniziativa.
VF: Quale potrebbe essere una risposta pratica alla carenza di personale medico nei PS?
SM: Cominciamo ancora dai dati: in Toscana ci sono 100 punti di guardia medicalizzati per 3.5 milioni di abitanti quando in Lombardia ce ne sono 50 per poco meno del triplo degli abitanti.
Queste professionalità mediche, che al momento sono sottoutilizzate (in alcuni casi i servizi effettuati durante la guardia di 12 ore sono mediamente 1.5) potrebbero essere spostate, almeno in parte, all’interno dei PS, dove la carenza di medici rende il lavoro durissimo.
Di concerto con personale del 118 e dell’area PS abbiamo proposto una apposita riforma che da anni è all’attenzione della Regione Toscana: i medici del 118 potrebbero spostare la propria postazione all’interno dei PS ospedalieri, in modo da rinforzare il personale di PS, lasciando sul territorio gli infermieri del 118 ed uscendo solo su chiamata infermieristica. A tale provvedimento, che va in una direzione di ecologia ed economia delle risorse, si sono talvolta opposti i sindacati del personale medico coinvolto nel progetto.
VF: Cosa ne pensa della recente delibera che prevede l’ingresso in PS di medici neolaureati? E’ a suo avviso una misura di reale aiuto per il personale e per gli utenti?
SM: Nel PS di Prato per il momento questa risoluzione ci aiuta. Ogni medico neolaureato inserito lavora con tutoraggio di un medico anziano, ma è sicuramente d’aiuto per smaltire con maggiore rapidità almeno i codici minori. Sarà creato per questi professionisti, un corso per medici dell’emergenza/urgenza (una nuova versione del corso DEU)
VF: Ci sono altre strade per ridurre “l’intasamento” dei PS?
SM: A mio avviso dovrebbe essere fatta una riflessione sul numero di posti letto.
Negli ultimi 10-15 anni la Toscana ha drasticamente ridotto il numero di posti letto per ricovero, nell’ottica di razionalizzare le spese. Forse tale pratica si è spinta troppo oltre con il risultato di creare una cronica lentezza nei tempi di trasferimento in reparto dei malati già destinati al ricovero, che restano per ore (e a volte per giorni) nei locali del PS in attesa del posto letto, aggiungendo ulteriore caos e disagio al contesto dell’urgenza.
Un altro punto critico, strettamente medico, è quello relativo agli invii in PS da parte di specialisti ospedalieri. Tale eventualità dovrebbe essere eccezionale e legata solamente a situazioni di reale urgenza clinica. Per tutte le restanti problematiche cliniche minori o organizzative o di percorso si dovrebbero stabilire e seguire percorsi diagnostico-terapeutici che non prevedano il passaggio dal PS.
VF: Grazie per la disponibilità e buon lavoro!
In un bel pomeriggio di fine estate abbiamo incontrato Milena Valachs e Nicolas Casale, co-presidenti dei Verdi ‘Ecolo’, primo partito nel comune d’Ixelles a Bruxelles:
Verdi Firenze: Nelle recenti elezioni amministrative che abbiamo avuto a Firenze, siamo stati spesso criticati per esserci presentati da soli, senza appoggiare il Partito Democratico contro la destra minacciosa di Salvini, e forse questo ci ha penalizzato nei risultati. Come avete fatto nel vostro comune dove anche esistevano equilibri di potere molto stabili tra i partiti tradizionali a diventare il primo partito?
Milena Valachs e Nicolas Casale: È importante far capire agli elettori e alle elettrici che la scelta non è soltanto tra partiti populisti e partiti tradizionali, ma che puo’ esserci anche una terza forza che mette avanti le iniziative dei cittadini e che li sostiene nella vita quotidiana, che si tratti di mobilità, rifiuti, spazio pubblico, alimentazione, comitati di quartiere, associazioni di genitori, e cosi’ via. Noi siamo il partito che mette il cittadino al centro del progetto politico, e non il contrario. Questo ovviamente si costruisce nel tempo, non in giorni o settimane, ma in anni di presenza sul territorio. Non si deve essere in tanti e non importa se si tratta sempre delle stesse persone, si è comunque presenti.
VF: Ci raccontate la vostra esperienza di lavoro sul territorio?
MVNC: Nella pratica noi abbiamo utilizzato molto il porta a porta: bussiamo alle porte, ci presentiamo, parliamo del programma, facciamo delle domande. Per fare questo c’è bisogno di mobilitare i membri, e andare magari in due o tre, ma non bisogna essere tanti, noi l’abbiamo fatto con una trentina di persone.
VF: In Italia i Verdi spesso scontano una certa diffidenza da parte delle associazioni ambientaliste e dei movimenti come Fridays For Future, voi siete riusciti a lavorare in sinergia con altre associazioni?
MVNC: Sì, per noi un’altra cosa importante è stato fare un inventario delle organizzazioni che esistono e che lavorano su questioni legate alla sostenibilità ed entrare in dialogo con loro; se queste persone conoscono meglio i nostri valori ci sono più possibilità che votino anche per noi. I Verdi non sono solo gli ecologisti che abbracciamo gli alberi e questo dobbiamo spiegarlo alle persone. Dobbiamo spiegare che amiamo le piante perché queste migliorano l’aria che respiriamo e la qualità della nostra vita e quella dei nostri cari. Bisogna parlare di valori, di democrazia, di uguaglianza e parità di genere, di diritti; non solo di un’ecologia nel senso stretto ma di un’ecologia politica. Dobbiamo anche spiegare che il progetto di una società più ecologica non implica necessariamente la perdita di posti di lavoro. La conversione all’ecologia bio per esempio puo’ creare migliaia di posti di lavoro, bisogna spiegarlo questo. La trasparenza, l’etica, bisogna anche riparlare di tutto questo. Ci sono tante persone che non votano, che sono deluse dalla politica e che potrebbero accogliere i messaggi di un partito fatto di persone che si avvicinano e che dimostrano impegno.
VF: I Verdi italiani sono anche accusati di avere un approccio intellettualistico alla politica, di non essere vicini ai problemi delle persone.
MVNC: Questo è un rischio che corriamo come ecologisti. Se da un lato bisogna parlare di valori, dall’altro bisogna anche parlare di cose concrete e realizzabili, con anche degli slogans se necessario. Nel mese di ottobre per esempio abbiamo parlato alle persone di ridurre l’iquinamento dell’aria del 50%, l’abbiamo detto, abbiamo parlato alle persone di misure concrete: piantare alberi, mobilità sostenibile, aree a 30 km, piste cliclabili in sicurezza, spazi verdi in ogni quartiere, la salute legata all’alimentazione, e che il bio puo’ anche essere per i meno abbienti se si detassano i prodotti bio, e cosi’ tutti mangiano meglio. In Italia questo dovrebbe essere un tasto efficace, ci saranno molti produttori interessati alla riduzione dell’IVA sul bio e si puo’ legare questo alla salute pubblica e presentarlo como uno stimolo per l’economia locale, i negozi bio, si aiuta l’economia ad essere dinamica.
VF: Pensate che questo approccio possa facilmente essere adattato anche alla realtà fiorentina?
MVNC: La misura plastica zero a Firenze è un’altra che potrebbe funzionare bene, con tutti i turisti che contribuiscono ad inquinare la città! Non bisogna proibire ai commercianti di vendere l’acqua in bottiglia ma convincerli che guadagneranno di più se smettono. Bisogna mettersi in contatto con i fornitori per trovare soluzioni che possano funzionare, offrire ai cittadini dei sacchi di tela e ascoltare le parti che lavorano nel settore del turismo, della ristorazione, i rifornitori, etc. Il legame con la realtà sul territorio, con i bisogni e le iniziative dei cittadini sono la base del nostro programma. Ovviamente c’è anche da vedere quelle che sono le specificità di Firenze, quali sono le opportunità della città e come il Partito dei Verdi puo’ costruirsi in questo contesto.
Bisogna riflettere sulla vostra battaglia e fare un piano, una mappatura: con chi possiamo lavorare, qual’è la sociologia dei diversi quartieri, cosa vogliamo dire sul turismo e cosa proponiamo per gli altri quartieri. Potreste testare il porta a porta in un quartiere con un paio di persone, andare ai mercati, parlare con le persone, fare delle domande, stare in ascolto. E vedere cosa ne esce. Bisogna passare i nostri messaggi ma anche ascoltare: “Noi vogliamo che Firenze sia una città più vivibile, all’avanguardia nella sostenibilità, voi che ne pensate? Basta non avere aspettative troppo elevate, perché con il porta a porta si raggiunge una persona su 10. Con un volantino è una persona su 5. Ma anche questo va fatto, essere tra le persone, parlare e dare un volantino in mano.
Siamo tutti persone occupate, con famiglia, ed è per questo che bisogna coinvolgere i membri e fare un lavoro di continuità in questi anni in vista delle prossime elezioni amministrative. Bisogna darsi degli obiettivi ambiziosi e fare un piano per realizzarlo. E bisogna attivare i membri e poi coinvolgerli, e questo si costruisce nel tempo.
VF: Potreste darci ancora alcuni esempi di azioni concrete sul territorio e anche un esempio di successo politico che avete ottenuto da quando siete al governo della Commune?
MVNC: Le azioni concrete contano molto nella percezione dei cittadini. Per esempio noi organizziamo ogni anno un incontro con le associazioni, quest’anno sarà a novembre. Abbiamo una lista di organizzazioni e le invitiamo a parlare e discutere di come migliorare la vita dei cittadini. Fare delle conferenze, invitare un’associazione a organizzarne una con noi, e cosi’ si costruisce la rete e si dimostra di essere attivi. Bisogna uscire dal partito, chiedere ai membri di proporre delle idee, l’approccio per noi è molto “bottom up”.
Ai mercatini i membri vengono spesso con i loro figli, parlano con le persone del progetto Ecolo, due ore è largamente sufficiente. Quello che funziona è usare anche delle frasi forti, tipo: “Buongiorno, noi vogliamo ridurre l’inquinamento dell’aria della Commune del 50%, v’interessa?” Anche avere qualcosa in mano da dare come un volantino con i punti programmatici aiuta.
Un altro esempio: per San Valentino noi facciamo il “San Val-en-train”: andiamo alle fermate dei bus, tram e treno e diciamo “Grazie, grazie per utilizzare il trasporto pubblico e aiutarci ad avere un’aria migliore”. Le persone sono gratificate e se lo ricordano. È un messaggio positivo anche, bisogna stare attenti a non essere percepiti sempre come catastrofici.
Infine un esempio di successo al governo della Commune riguarda sempre delle consultazioni che abbiamo organizzato su come ri-utilizzare un parcheggio che era molto poco utilizzato. Abbiamo chiamato gli abitanti del quartiere ad esprimersi, e abbiamo anche organizzato tre incontri in fasce orarie diverse così da dare la possibilità a tutti di patecipare. La gente era entusiasta, dicevano che era la prima volta nella loro vita che venivano invitati al Comune per dare la loro opinione.
VF: E sui social network come vi muovete?
MVNC: I media sociali sono sicuramente utili, ma non sono abbastanza, bisogna creare delle azioni che si ripetono e quindi avere delle attività tre volte all’anno che diventano riconoscibili e che sono legate alla vita quotidiana della gente. Abbiamo anche una pagina Facebook, ma il contatto fisico è ancora importante, le persone vedono le nostre facce, devono ricordarsi di noi. Ovviamente ci sono diverse fasce della popolazione e gruppi sociali e di età. Per questo è essenziale una mappatura di comunicazione e visibilità per posizionarsi su delle questioni politiche, essere in contatto regolarmente con giornalisti amici, e farsi notare.
VF: Chi sono i vostri elettori? I giovani?
MVNC: Anche fra i nostri elettori prevale la fascia di età 25-30 anni, non i diciottenni. I giovani genitori sono un buon target a cui arriva il nostro messaggio: “Siamo inquieti per il futuro dei nostri figli venite a costruire un futuro per loro!”.
Si comincia con l’ottenere un seggio e si fa un lavoro di opposizione, e nel tempo come nel nostro caso si puo’ diventare primo partito, ma come abbiamo già detto, è un lavoro di molti anni, s’inizia piccoli, si fa un lavoro di opposizione costruttiva e le persone vedono cosa facciamo. Cosi’ facendo a volta dopo abbiamo raddoppiato i consensi, poi la volta ancora dopo i partiti tradizionali hanno avuto degli scandali e noi siamo diventati primo partito. Bisogna partire piccoli ma vedere in grande, far passare dei messaggi anche essendo all’opposizione, bisogna comunicarli, cosi’ come va comunicato quanto siamo d’accordo, non bisogna dare l’impressione di essere sempre contro.
In bocca al lupo Verdi di Firenze, siamo con voi!
VF: Mercì à Voùs
Paolo Pinzuti è un ciclista, un viaggiatore, ma di lavoro fa l’editore e si occupa di marketing e di comunicazione per Bikeitalia.it. Era fra i candidati di Europa Verde alle ultime elezioni europee. L’abbiamo intervistato.
Verdi Firenze Ciao Paolo, grazie per la tua disponibilità per questa intervista. Ci racconti come hai fatto a far diventare la bicicletta il tuo lavoro?
Paolo Pinzuti. Nel 2011 io e Pinar, mia moglie, abbiamo lasciato il lavoro e siamo partiti per un viaggio in bicicletta di 4 mesi in sud America. Con bici e tenda, abbiamo girato per l’Argentina, il Cile, la Bolivia e il Perù. Per raccontare questa esperienza ho aperto un blog. Finito il viaggio ho continuato a scrivere di bici, cicloturismo, ciclabilità urbana, sicurezza sul mio blog, che nel 2013 è diventato una testata giornalistica, bikeitalia.it. La gestione della rivista ha reso necessario l’apertura di una società, Bikenomist srl, che oggi dà lavoro a 8 persone e fa comunicazione, organizza corsi di formazione e fa consulenza sulla mobilità urbana e sul cicloturismo.
VF. La bici, oltre ad essere il tuo lavoro, è ancora una passione? Riesci a goderti un’escursione o un viaggio? Quest’estate ad esempio dove ti ha portato la tua bicicletta?
PP. La bici per me è parte integrante della vita, come lo sono i pantaloni o le scarpe. Pedalare, oltre a essere una forma di trasporto estremamente efficiente, è anche piacevole per lo spirito e per il fisico e per questo non vi rinuncerei mai. Quest’estate mi sono concesso delle pause di tre giorni con dei bei giri in bicicletta sulle Dolomiti, in alta Val di Susa e sulla Francigena in Toscana.
VF. Questa primavera sei stato candidato alle elezioni europee per Europa Verde. Come è successo?
PP. Nel suo ultimo discorso da presidente degli USA, Obama disse una cosa che mi ha colpito molto: “se non vi piacciono i vostri rappresentanti nelle istituzioni è inutile lamentarsi: candidatevi e diventate voi i rappresentanti nelle istituzioni.“. Nauseato dal basso livello della politica italiana e dalla mancanza di un’agenda politica ambientalista, ho pensato che fosse mia responsabilità provarci e dare il mio contributo. Ho presentato la mia disponibilità alla candidatura, che è stata accettata.
VF. Qual è il tuo bilancio della tua avventura elettorale? Lo rifaresti?
PP. 1.500 preferenze non sono molte, ma per un outsider della politica non sono da buttare via. Il bilancio comunque per me è positivo perché ho avuto modo di incontrare molte persone bellissime che hanno voglia di fare “cose” per raddrizzare la politica, il mondo e l’ambiente. Lo rifarei a occhi chiusi perché è stata una delle esperienze più intense della mia vita. Ma non so se lo rifarò.
VF. Secondo te cosa manca al movimento ecologista italiano per poter diventare efficace nell’azione come i partiti verdi della Germania o di altri paesi europei?
PP. È una domanda difficile a cui ho pensato più volte e credo che non esista una risposta univoca perché è un insieme di fattori. Credo che il peccato originale sia una sorta di intellettualismo di fondo che parla (giustamente) di ambiente, ma che poi non è presente sul territorio per “fare” ambiente in modo coerente e continuativo facendosi conoscere dalla “base” coinvolgendola e includendola.
VF. Torniamo alla bici, qual è il singolo intervento, in qualche città italiana, che suggeriresti come esempio virtuoso da imitare per favorire gli spostamenti in bici?
PP. Le persone vanno in bicicletta quando si trovano in un ambiente sicuro e una città è sicura per chi va in bici quando non si corre il rischio di essere investiti dall’automobilista distratto o incosciente di turno. Per questo occorre limitare la velocità d’uso delle auto, ma anche il suo utilizzo. Se ci pensiamo, le piste ciclabili altro non sono che pezzi di strada che sono stati interdetti alle auto. La moderazione del traffico è la chiave. E se vuoi un esempio, Reggio Emilia è più che calzante.
VF. Grazie per il tuo tempo, buona strada!